lunedì 15 gennaio 2018

Una Notte a Paiju

I bambini di Askole, l'ultimo villaggio sulla via del Baltoro

Paiju è l’ultima oasi prima del ghiacciaio: un ruscello di acqua limpida e antiche piante contorte, qualche filo d’erba e cespugli spinosi.

Di fronte il muro nero del Baltoro con le sue Colonne d’Ercole di rosso granito e montagne bianche all’orizzonte. Intorno sabbia ciottoli e sfasciumi. Brandelli di mondo masticati e sputati dai denti del freddo e del tempo. Non c’è nulla d’accogliente in questa terra che costantemente si lascia cadere verso il basso e il poco verde dell’oasi non basta per farti sentire al riparo dall’immensa rovina.

Il paesaggio desolato riecheggia la voce della Grane Montagna: “Non è terra di uomini questa”. Karakorum la chiamarono gli antichi viaggiatori: Pietre Nere, nulla di più... Eppure siamo solo sulla soglia del regno di ghiaccio, qui ancora resiste la vita, stentata, ostinata e sorprendente, come l’apparizione ardente e insieme leggerissima di un arbusto fiorito fra le pietre.

I colori della vita fra le pietre nere e il ghiaccio

Qui, dove c’è ancora terra sotto i piedi, i portatori fanno sosta almeno due notti, prima di prendere il largo sul Baltoro. Bisogna riposare e prepararsi ad affrontare il freddo e le difficoltà del mare gelato. Ci sono riti antichi a cui assolvere, che si ripetono ogni volta, fin dai tempi delle prime esplorazioni.

Il primo di questi è la distribuzione della farina per il chapati. Non è un’operazione semplice e neppure breve. Le focacce cotte sul fuoco dei bivacchi saranno praticamente l’unico pasto dei portatori per i prossimi giorni e la riserva dovrà bastare per l’andata e il ritorno. Ogni grammo è prezioso e ciascuno vuole essere sicuro di avere la propria parte.

Durante la distribuzione della farina a Paiju

Una gran folla si raduna attorno al sirdar, che calcola le razioni e pesa i sacchi. Ma qui anche il responso della bilancia è argomento di discussione. C’è gran fermento e vociare per tutto il campo. Occorrono ore prima che ciascuno sia soddisfatto. Non è la paura di ricevere meno di quello che spetta. Non solo. E’ il gusto tutto pakistano per la contrattazione.

E’ lo stesso fermento che anima i bazar delle città, dove vendere e comprare sono un’arte da praticare con pazienza e dedizione.
“Non mi piace fare affari con gli americani e i giapponesi – ci disse un giorno un venditore di cristalli a Skardu, mentre sorseggiavamo tè verde, dopo una mattinata trascorsa a patteggiare i nostri acquisti – Loro arrivano e non spiccicano parola. Qualsiasi prezzo tu chieda, tirano fuori i soldi e pagano. Con gli italiani è diverso: anche a voi piace discutere, mercanteggiare, proprio come a noi pakistani!”.

Quando cala la sera a Paiju arriva il momento della festa. Per tutte le altre tappe del viaggio i portatori vanno a dormire presto. Subito dopo la cena si coricano nei loro rifugi: cerchi di pietre coperti da un telo di cellophane. Non ci sono sacchi a pelo per loro, solo qualche vecchia coperta, per i più fortunati, e gli stessi vestiti indossati dal giorno della partenza: lo shalwar kamez di cotone leggero, un maglione rattoppato o una giacca a vento ereditata da qualche alpinista.

Un portatore baltì con il suo basto

A Paiju però è diverso, qui la notte non è fatta per dormire, ma per ballare e cantare. Alla luce dei falò i duri uomini del Karakorum si trasformano in danzatori dalle movenze quasi femminili, i bidoni del kerosene diventano tamburi e voci acute intonano melodie sentimentali.

Un vecchio portatore canta la storia di un amore tradito: “Nei tuoi occhi ci sono le stelle. Ma le stelle brillano nella notte e io ho bisogno della luce del giorno”. E ancora: “Tu mi hai ferito il cuore, ma io non posso fare altrettanto, perché non si può ferire chi non ha sentimenti”.

Quanti anni avrà? Forse una sessantina, ma è difficile dirlo. Qui il mestiere di vivere scolpisce presto i corpi. A quindici anni i ragazzini sono già uomini con la pelle scura e muscoli asciutti e infaticabili, buoni per mettersi il bastino sulle spalle e cominciare a camminare…

In cammino verso il K2


Sembrano indistruttibili come il granito delle montagne i giovani portatori baltì. I più bravi sono capaci di percorrere in un giorno, con trenta chili sulla schiena, il doppio della strada fatta da un turista.

Basta un complimento del sirdar e quattro soldi in più per farli sentire felici. Ma è tutto un inganno: il sole e il freddo del Baltoro spaccano anche la roccia più dura.

La verità arriva dal ghiacciaio, assieme a quelli che rientrano di corsa ad Askole per prendere un nuovo carico. Alì ha una vescica purulenta su un piede, grossa come un uovo. Karim si è ferito una mano con del ferro arrugginito e adesso la cancrena gassosa gli sta portando via il pollice. Hussein non aveva occhiali da sole e da due giorni cammina con il braccio sulla spalla di un compagno che gli fa da guida: l’oftalmia lo ha reso completamente cieco. Muhammad piscia sangue e ogni movimento gli costa dolore e fatica. Abbas è continuamente scosso da colpi di tosse e il catarro rischia di soffocarlo ad ogni respiro.

I nomi potrebbero essere anche altri, ma le storie si ripetono sempre uguali. Sono forti i giovani portatori baltì, ma si consumano in fretta. Fra non molte stagioni saranno dei vecchi tremolanti e rinsecchiti, che ancora arrancano lungo la pista, schiantati da un carico ormai troppo pesante.

Il Paiju Peak

Ma la sera, a Paiju, anche i piedi dei vecchi portatori tornano agili e leggeri. Saper ballare e cantare per loro è una fortuna. I compagni tutto intorno battono le mani a ritmo di musica e ogni tanto gli infilano qualche rupia nel risvolto del copricapo baltì, in segno di apprezzamento.

I danzatori si danno il cambio all’interno del cerchio. Portano le stesse calzature che utilizzano ogni giorno durante il trekking. Sembrano scarpe da ginnastica, ma in realtà sono stivaletti bassi, fatti completamente di gomma, con tanto di stringhe finte. Li portano tutti dal giorno della partenza e li useranno anche sul ghiacciaio. Qualcuno possiede un paio di calze, gli altri indossano le scarpe direttamente a contatto con la pelle.

Qualcuno intona una nuova canzone che parla di casa e di affetti lontani: “Ho scordato ogni cosa, tranne il tuo amore...”.

I tamburi suonano più forte e il coro risponde ad ogni strofa. Come devono essere vitali per loro questi momenti! Questa gente prende la pioggia e il sole con l’indifferenza della pietra e la notte si rannicchia in gruppo sotto rifugi improvvisati, come gli animali nelle grotte delle montagne. E’ come se da ogni lato una natura e un destino onnipotenti accerchiassero e strangolassero l’umanità.

Le Cattedrali del Baltoro viste da Urdukas

Nell’immenso Karakorum l’uomo non è diverso da una capra o da un uccello. Ma la sera, attorno al fuoco, i portatori fanno ciò che nessun animale può fare: cantano e rammentano chi sono. Evocano ciò che nessun animale possiede: una storia, una tradizione, una cultura. Mettono in atto l’umanità.

Il canto, la poesia, la danza, sono simboli che riportano al presente, svelano ciò che è stato e che le leggi della natura hanno cancellato dall’oggi. Ciò che ancora si può nominare non è del tutto perduto. Potenza della parola, essenzialità dell’arte!

Strano pensare che questa gente sia la stessa che tiene le proprie mogli e figlie prigioniere fra le mura di casa o le manda nei campi, a fare i duri lavori che da noi spettano agli uomini. “Bestie da soma” si intitolava un documentario dedicato alla condizione femminile fra queste montagne…

Tutto vero, eppure il pregiudizio è un velo sottile, che confonde lo sguardo senza che tu te ne accorga. A Skardu come ad Askole abbiamo visto donne contadine e bambini vocianti fra le coltivazioni di frumento e colza. Dove sono gli uomini, ci chiedevamo con un filo di ironia e disapprovazione? Non riuscivamo a vederli, eppure erano tanto vicini, proprio dietro a noi, con i nostri carichi sulle spalle, assicurati su scomodi bastini li legno, che come spallacci hanno semplici pezzi di corda. Venticinque chili ogni giorno, 500 rupie ad ogni tappa, meno di 7 euro per 8 ore di marcia. Bestie da soma…

Nessun commento: