Uno scritto di diversi anni fa.... ma sempre attuale!
Cominciò tutto quando facevo il
chierichetto…
Iniziava la messa, si entrava in scena,
il prete davanti, noi giovani assistenti schierati dietro e già
cominciavano i miei guai…
Atto primo, genuflessione davanti
all’altare.
“Concentrati Serafino: gamba
sinistra avanti e gamba destra indietro… non è difficile!”
Pronti, via!
Regolarmente quattro figure in abiti
cerimoniali si inginocchiano all’unisono con la corretta procedura
in voga nella Chiesa cattolica da quasi duemila anni.
Solo uno restava un attimo titubante.
Poi, in netto ritardo rispetto agli altri, si genufletteva anche lui,
sconfinando per l’ennesima volta nell’eresia: a ridajie! Gamba
destra avanti e gamba sinistra indietro. Come non detto… fottuta
paura del pubblico!
Avrete già capito che la mia carriera
nei ranghi ecclesiastici non durò poi molto: rassegnai le dimissioni
il giorno in cui rovesciai l’ampolla del vino benedetto durante la
messa solenne della domenica…
Per superare la delusione decisi di
buttarmi nello sport, che in Brianza, così come in ogni altro luogo
del Bel Paese, allora come oggi era sinonimo di pallone.
Qui le cose andarono anche peggio,
perché ad una manifesta inadeguatezza tecnico-atletica associavo una
completa ignoranza delle regole del gioco, che, naturalmente, nessuno
si era preso la briga di spiegarmi, ritenendone le conoscenza insita
nel Dna nazionale. Insomma, gli uccelli volano, i cani abbaiano e gli
italiani giocano al pallone… semplice no?
Poi c’era sempre la paura del
pubblico, acuita dal fatto che gli spettatori delle partite
oratoriane, pur essendo spesso gli stessi che al mattino assistevano
ispirati alla santa messa, non mantenevano sugli spalti lo stesso
contegno assunto fra le panche della chiesa, e le “benedizioni”
dei padri dei miei compagni di squadra mi davano più di qualche
motivo d’inquietudine…
A salvarmi dal deperimento psico-fisico
e dal completo isolamento sociale fu l’incontro con la montagna: un
amore a prima vista!
Finalmente avevo trovato un’attività
nella quale non c’era da far altro che mettere un piede davanti
all’altro, tenere duro, rimuginare in tranquillità i propri
pensieri e godersi la bellezza e il silenzio di posti fantastici.
Tutte cose in cui, modestamente, ero bravissimo. Poi, soprattutto,
non c’era nessuno ad assistere!
Dopo qualche anno cominciai ad
arrampicare: seconda folgorazione!
Lo sport perfetto per me. Niente
pubblico, niente competizione diretta con gli altri. Solo il piacere
della scoperta, del movimento, la bellezza dei luoghi, il gusto di
superare i propri limiti personali e infinite salite da sognare.
Fu sull’onda di questo entusiasmo che
ebbi un giorno la malsana idea di lanciarmi in una gara
d’arrampicata. Era uno dei primi campionati provinciali all’Aprica,
aperto anche ai non-locals.
L’organizzazione era perfetta e si
fregiava di un fornitissimo servizio mensa per gli atleti, con
abbondanza di salumi, bresaole, bitto, vino, grappa e raccomandazioni
del tipo: “Mangiate ragazzi, che altrimenti come fate a stare
attaccati!?!”… Bei tempi!
Naturalmente io seguii scrupolosamente
i consigli e soffocai l’insorgente ansia da prestazione con
abbondanti libagioni. Cosa che rischiò d’essermi fatale...
Il dramma cominciò quando venne il mio
turno nella qualifica flash. Con estremo sforzo di coordinazione
motoria e sfidando un violento attacco tachicardico, arrancai fin
sotto la base della parete.
Ecco il primo crux della via: legare la
corda all’imbrago!
“Ok Sera, stai calmo: nodo delle
guide, lo fai meccanicamente da anni, no?”
Appunto…no! File not found…
Mentre le mie mani si agitavano
inutilmente modello Mulinex Gino Notari, in veste di assicuratore, si
avvicinò e mi chiese candidamente: “Ma è la prima volta che
scali?”.
La domanda rischiò di farmi cadere
stecchito, ma gli fui comunque grato per l’aiuto che mi dette nel
venire a capo del mio “nodo gordiano” e per il suo semplice ma
caloroso incoraggiamento: “Vai tranquillo!”…
Tranquillo!?!?!?
La prima parte della via era una placca
verticale a grandi ronchie, cosa che mi consentì di andare avanti
nonostante la mia progressione in stile figlio di Goldrake, non nel
senso del celebre boulder, ma del robot. Avete presente quei gioppini
con cui si giocava tra la fine degli Anni ’70 e i primi Anni ’80?
Quelli che potevano muovere solo le braccia avanti e indietro e per
il resto erano privi di ogni articolazione semovibile? Ecco, uguale!
Prima di superare il tettino, dove la
via faceva selezione, c’era un ottimo riposo e lì tirai il fiato.
Nel farlo però mi accorsi che assieme al fiato rischiavano di venir
su anche il vinello e le bresaole sbranate qualche ora prima.
“Cribbio, mi vien la nausea!”
Guardai giù e vedi una marea di gente
sotto la parete. Già mi immaginavo la scena raccapricciante: “Porca
miseria, adesso vomito sul pubblico!”.
Cercai di salvare la situazione
rimettendomi in movimento ed effettivamente funzionò. Ma appena mi
attaccai sulle giavellone del tetto: trac! Crampo al bicipite
sinistro!
“Poco male – pensai – Sono
su un tetto e la ghisa alle braccia è una cosa normale…”.
Lolottai su un fianco per distendere il
braccio e: trac! Crampo alla gamba destra!
Restai bloccato in quella posizione
come un gatto di marmo, senza riuscire più a muovermi. Poi
finalmente le mani si aprirono e… fine della gara!
Nonostante la tragicomica prestazione
decisi che l’esperienza non era stata poi malvagia e che forse
valeva la pena di fare qualche garetta ogni tanto, come terapia
psicologica contro la mia fobia del pubblico.
Tenta oggi e riprova domani arrivai
alla “gara della vita” (la competizione amatoriale organizzata a
margine dei mondiali di arrampicata a Lecco) in uno stato d’animo
perfetto: tranquillo e pacifico come se stessi scalando al pannello
sotto casa mia!
Questa volta non c’erano bresaole a
minacciare la mia digestione e l’igiene del pubblico....
Macinai le prese della via di finale
fino a metà percorso, ma ciò che non potè l’emozione lo fece la
sfiga: serie di tacche, incrocio di braccia, bicipite che sfrega
sugli occhiali, occhiali in caduta libera… Mai successo prima e mai
accaduto dopo!
Lo spettacolo però non era finito. Con
un agile bloccaggio di cosce fermai la caduta degli occhiali e mentre
metà del pubblico rantolava per le risate e l’altra metà (ho
tanti amici per fortuna!) mi incitava a continuare, cercai di
rimettermeli sul naso con la mano sinistra.
Durante la caduta però una stanghetta
si era ripiegata e rimetterla in posizione con una mano sola, mentre
con l’altra tenevo disperatamente la tacca, non fu un’impresa
facile. Cribbio, la fissata più lunga e faticosa della mia vita!
Inutile dire che grazie a questa
dimostrazione di agilità e intelligenza motoria mi spensi dopo poche
prese, restando ben lontano dal podio e dal premio da me più ambito:
il mega scatolone di caramelle e cioccolatini offerto dall’azienda
dolciaria locale!
Sic transit gloria mundi…