giovedì 30 settembre 2010

Verdon first time

Nel nido del grifone...
Dopo 20 anni di scalata finalmente sono approdato in Verdon!
Il mio amico Antonio direbbe che dopo 20 anni ho finalmente cominciato a scalare, visto che "se non hai mai scalato in Verdon hai fatto un altro sport, ma non hai mai scalato!".

Io non sono così drastico (anche in Wenden e nel Ratikon si fa qualcosa di simile...), ma certo è che il calcare della Verdeska non si fa dimenticare facilmente e neppure il gaz che si respira stando appesi sulle pareti del canyon, con il fiume che ribolle qualche centinaio di metri più in basso e i grifoni che ti planano attorno e forse sperano in una manovra sbagliata per poter mettere qualcosa sotto il becco, giusto in tempo per l'ora di cena...

Poi ci sono i soliti, magnifici, paesini della provincia francese. Quelli dove ti vien voglia di lasciar perdere scarpette puzzolenti e magnesite e di sederti al tavolino di un caffè in religiosa contemplazione degli scricchiolii del tuo croissant, mentre attorno girano lenti gli ultimi giorni d'estate. Quelli che ti fanno incazzare al pensiero che, alla fine, questi antipatici di francesi un po' di ragione ce l'hanno anche a trattarci come dei pezzenti, perché, alla faccia di tutti i nostri colossei e e cappelle sistine, da loro un Pierrot qualsiasi si può sedere ad un tavolino qualsiasi, di un qualsiasi caffè, nel più anonimo dei paesini di Francia, e buttar giù bellezza a piccoli sorsi lenti, fatti di gente che torna a casa con la baguette ben stretta sotto il braccio, casette con i muri di pietra e le finestrelle di legno e vecchi glicini contorti che si arrampicano attorno alla soglia. E ti fa incavolare ancora di più il fatto che non riesci a capire come fanno a campare tutti quanti, visto che attorno al paesino qualsiasi ci sono solo decine di chilometri di verdissima campagna senza l'ombra di un capannone o di una fabbrichetta...
La tirolese sul Verdon
Ma i cuginastri hanno pure tonnellate di roccia scalabile di primissima qualità e noi è proprio per quella che ci siamo ciucciati le 4 ore di macchina che separano Zena dal Giardino dell'Eden e la mattina (quasi) di buon ora, ci siam scarrucolati sulle inquietanti fisse con trefoli al vento della tirolese che scavalca il Verdon sotto la Paroi du Duc, per attaccare Alix Punk senza dover fare a gomitate con le altre cordate.

Alix Punk non è certo la più verdoneska fra le vie verdoniane, visto che qui più che le placche compatte abbondano gli strapiombi a canne e gli spit non sono stati certo messi con la parsimonia che tanto ha contribuito a creare il mito degli itinerari classici degli Anni '80. Però è una via dove si fa fatica a trovare un tiro brutto (o almeno classificabile come "normale") e che ha decisamente un suo carattere. Alix, infatti si insinua fra gli enormi bombamenti di una parete che sembra più propizia alle vie "big" che a quelle per i poveri climbers dal braccino sottosviluppato, venendone a capo con un tracciato davvero logico, che aggira i punti più aggettanti e concatena una serie di tiri sempre in bilico fra il grado 6 e 7 e abbordabili senza grandi patemi. Insomma, in cima ci siamo arrivati senza vedere troppe madonne, anche se il Giova ha fatto in tempo a fumarsi una ventina di pacchetti di sigarette per tenere sotto controllo la pressione del tappo, ed anche se "lo bello stilo che ci ha fatto onore" lo abbiamo lasciato a casa pure 'sta volta... qualcuno dice che, visti gli scioperi degli allevatori in programma per quei giorni, c'è toccato munger tutto a noi...

Il Giova imperioso
sul secondo tiro di Alix

Il giorno dopo, vista la mia completa consuzione fisica con conseguente incapacità di restare attaccato per più di qualche minuto su una via che fosse poco più che verticale, le orde dei wubeiri e dei ragadi si sono dirette verso itinerari in perfetto Verdon Stile ed anche per me è arrivato l'incontro con la madre di tutte le placche.

Respinti dalla mitica riva destra del canyon (ancora troppo calda per poterci scalare senza troppa sofferenza), ci siamo affidati all'enciclopedica sapienza del Wuberino, che ha spedito la cordata dei lunghi (io e il Gabri) su Enigma, mentre lui si è infrattato con uno stuolo di donne (Cri, Angela e la Gabri) in un non meglio precisato diedro trad (ndr: le malelingue dicono che ormai scalare in Verdon con il W2 sia diventato controproducente, perché, avendo già salito tutto ciò che è alla portata di climbers normodotati e vale la pena di essere salito, ormai non gli rimane che lanciarsi in esplorazione di quelle vie che (chissà perché?) non saler mai nessuno...).

Lo Zio non ha pietà neppure
per i vegetali... e strozza la pianta!
Che dire di Enigma? Che dire di una via dove i tiri più facili sono capolavori dell'erosione naturale, lungo i quali non c'è che l'imbarazzo della scelta fra milioni di gocce e buchi e dove è difficile, anche cercando trovare un sassetto che si muova? Che dire dei metri di roccia dove appigli da tirare non ce ne sono, ma si sale di piede, di anca e di culo? Che dire dell'ultimo tiro, dove un povero disgraziato di arrampicatore quasi in disarmo, che ormai mette le scarpette un giorno al mese, si è trovato per la prima volta in vita sua ad arrivare in sosta urlando di dolore, dopo sessanta metri esatti di spalmi e di alluci pressurizzati nei buchetti?
Che dire: MAJOR!!!!!!!!!!!


SCHEDE TECNICHE:
- Alix Punk
- Enigma

martedì 31 agosto 2010

Oh bedda Meya!

Il Vallone dell'Arma, fra le vallate cuneesi, non è certo la più frequentata dai climber, anche perché di sassi buoni per metterci le mani sopra qui non ce ne sono poi molti.

Rocca la Meya è ficcata proprio in fondo al Vallone e compare all'ultimo istante, quando ormai sei quasi certo di aver cannato strada un'altra volta. All'ennesima curva del maledetto sterrato vedi spuntare 'sta specie di millesfoglie piantata in perpendicolo in mezzo ai prati, evidente risultato di un qualche ribaltamento geologico la cui linea serpeggia per chilometri attorno. Una spina dorsale che affiora sulla pelle verde dei pascoli d'alta quota (siamo abbondantemente sopra i 2000) e qui, per chissà qual motivo, non si è lasciata sfarinare dal tempo, ma è diventata pinna megalitica di solida roccia (più o meno).

Non so come al Giova e a me sia venuto in mente di venirci a scalare, certo è che la visita è valsa l'alzataccia mattutina, più per la particolarità dell'ambiente e la bella giornata che per l'arrampicata in se, e l'occasione è stata buona per venire finalmente a scoprire le montagne del cuneese, dove fino allo scorso weekend non avevo mai bazzicato.

Bella anche la falesia dei Folchi, sopra Vernante, dove siamo stati domenica, con un ritrovo, più o meno programmato di cimber lecchesi, savonesi e genovesi. Il tutto naturalmente è finito a boccali di birra (artigianale e anch'essa decisamente da inserire nella lista delle ragioni per cui venire a scalare nel cuneese).

Vabbè, l'ora tarda ha prosciugato la vena artistica e non mi resta che buttare on line un paio di foto della trasfertina (che, per la cronaca, è valsa anche da primo test serio, e positivamente superato, dopo lo stop plurimensile causa ernietta fetente).

giovedì 22 aprile 2010

Paperino in umido

W2 sulla rampa antistrapiombo
Lo scorso sabato eroica salita la Pianarella in versione trad. Col performantissimo Wuberino ci siamo infilati su una delle ultime linee non fittonate del Paretone, in barba al ventazzo patagonico e alle multiple ramate di pioggia.

Paperino al Pianarella (o Donald Duck on Flatty Cliff come lo ha rinominato W2 per ambientarsi all'imminente trasferta yosemitica) è una bella via dell'inizio degli anni 80, epoca d'oro dell'arrampicata libera finalese. Le difficoltà non sono certo estreme, ma la linea è davvero notevole.

Roccia sana su Paperino...
Il tiro più magico è sicuramente quello che forza esattamente al centro il grande bombamento sulla destra della headwall del Flatty Cliff (sembra tutta un'altra cosa detto così, eh!?!?) seguendo una sorta di rampa diagonale che annulla il grande strapiombo e consente di uscire su una placca compatta dove i chiodi sono abbondanti ma non certo ottimi.

Come umilissimo centomillesimo ripetitore non posso che rendere onore agli apritori, che hanno avuto l'istinto,  senza sistemi evidenti di fessure a fare da bussola,  per trovare un "passaggio a Nord Ovest", che è ancora oggi l'unico a consentire di navigare attraverso questo pancione compatto, situato proprio sopra un'erosione marciulenta dove, tra l'altro, Paperino si dimena con grande agilità, riuscendo a concatenare logicamente le poche zone non sabbiose.

Davvero una bella giornata.



SCHEDE TECNICHE:
Paperino

domenica 7 marzo 2010

Ossolice finalmente!


Era il natale del 2001 quando Rava mi regalò la guida delle cascate di ghiaccio in Val d'Ossola (a volte anche i regali interessati possono essere apprezzatisssssssimi!).

Naturalmente trascorsi il giorno di S.Stefano a scannerizzare la guida riga per riga e foto per foto e probabilmente chiamai 100 volte rava al telefono: "Andiamosandiamoandiamoandiamo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!All'attakkenall'attakkenall'attakken!!!!!!!!!!!!!!".

Poi però arrivarono un po' di inverni sbagliati, di quelli in cui se ci sono le cascate non ci sei tu o viceversa, e l'Ossolice rimase uno dei tanti sogni ribollenti nel calderone alpinistico (eh sì! Il posto dove stanno i sogni alpinistici non è un cassetto, e certi sogni non giacciono manco se ci metti sopra un macigno: lo sapete, vero, di cosa sto parlando?).

C'è voluto un "2010 anno internazionale dell'iceclimbing" per aprire finalmente le danze con le belle cascate della zona del Sempione. Peccato che il buon Rava non fosse con me, ma in compenso all'altro capo della corda c'era un inossidabile Pota, galvanizzatissimo dall'ambientone in cui ci siamo andati a ficcare per salire Diabolik, una classica di alta difficoltà giustamente considerata una delle più belle cascate della zona di Gondo.

Su Diabolik non ci sono tiri estremi, ma il trecentone alla fine si fa sentire e nelle ultime lunghezze le braccine cominciano a protestare! Poi c'è l'ambiente, selvaggio e isolato, anche se l'attacco è a una trentina di minuti dal parcheggio, e una bella discesa dove hai tutto il tempo per imbroccare il canalone sbagliato prima di tornare a valle... Insomma, tutti gli ingredienti giusti per poter dire: vale la pena di tornarte a fare un giro da queste parti!

PS: Sulla mia guida dell'Ossola Rava ha messo una dedica: "Che la passione non finisca mai!".
Sono passati quasi 10 anni, Vecio, e sono proprio contento di poter dire che la tua dedica/augurio si è avverata: ostrega, mi pare proprio che per tutti e due la passione è tutt'altro che finita! E non parlo solo del piccolo mondo dell'arrampicata: nel calderone c'è un sacco di roba che bolle!

ECCO LE FOTO!

martedì 16 febbraio 2010

Buffalo Bill...

15 - 02 - 2010

Tra bufalo e locomotiva
la differenza salta agli occhi
la locomotiva ha la strada segnata
il bufalo può scartare di lato e cadere...

Quest'anno Damocle è una locomotiva, almeno nelle condizioni in cui io l'ho salita domenica. Un bestione di ghiaccio di parecchie tonnellate, che però ha la strada segnata: puoi guardarlo (prima nelle foto cercate con bramosia sui forum, poi mentre ti prepari lentamente per la salita) puoi ascoltarlo (cercando di percepirne umori e malumori) e capire con ragionele certezza da che parte vuole andare, o meglio, se ha intenzione di rimanere lì dov'è.

Non ho mai visto le foto di quando Simone Moro l'ha salito nel 2000, ma, guardando le immagini scattate nel 2006, ho l'impressione che quell'anno Damocle fosse un bufalo, uno di quelli che da un momento all'altro possono scartare di lato e...

Vedo le foto di Juri Parimbelli e Mario Sertori e mi vengono i brividi: la signora cascata aveva decisamente un vitino da vespa!

Non so cos'abbiano bisbigliato loro nell'orecchio del bufalo per non farsi disarcionare, o quale segnale gli abbia fatto il bestione per fargli capie che sì, potevano salirgli tranquillamente in groppa e dargli una grattatina con le loro piccozze e ramponi e che lui, per il momento, non aveva intenzione di muoversi. Queste cose le sanno solo loro e il bufalo, io non ho esperienza, istinto e sensi abbastana affinati per percepire quel tipo di comunicazione e preferisco stare alla larga da certi mostri...



16 - 02 - 2010

Ieri notte ho scritto il post riportato sopra, poi era tardi e l'ho messo in bozza, con l'intenzione di competarlo  quest'oggi, raccontando il perché e il percome ho deciso di salire Damocle. Volevo dire che apparentemente sono venuto meno al mio principio di non salire mai certi tipi di freestanding, ma che quest'anno la cascata è bella grassa e che avevo la certezza che fosse stabile, bla, bla, bla....

Pochi minuti fa ho letto su Planetmountain l'articolo che si trova a questo link: http://www.planetmountain.com/News/shownews1.lasso?l=1&keyid=37251

D'un tratto tutte le mie menate mi sono sembrate solo balle di Fra Giulio.

Rinnovo il mio giuramento: mai più fottuti freestanding.
E la gallery con le foto della cascata me la tengo per me.

martedì 26 gennaio 2010

Il Sogno del Gran Scozzese




Eccolo lì, un altro sogno realizzato.

E' da quando ho preso per la prima volta le picche in mano che il Gran Scozzese sta in cima ai miei obiettivi ghiacciatori.

Ogni anno qualcosa, mancava, io, lui o i soci con cui andare a salirlo.

Poi è arrivata un'ordinaria domenica, con ordinaria alzataccia alle 4 del mattino, straordinaria prestazione di Rava - che ordina caffè e rustichella alle 5 antelucane - e straordinaria condizione della cascata.

Lo Scozzese merita davvero la sua fama di linea fra le più belle delle Alpi italiane (indipendentemente da tutte le speculazioni che si possono fare sui gradi, le condizioni, i nuovi attrezzi, i vecchi sclerotici, ecc... ecc...) e, nelle condizioni in cui io Pier, Mauro e Rava l'abbiamo salita, il penultimo tiro è uno dei più divertenti che abbia mai fatto: un sessantone dove si susseguono agganci, cavolfiori, cavoletti, spostamenti, bilanciamenti, ristabilimenti e via di seguito.

Una grande giornata, coronata sulla via del ritorno da un glorioso quanto economico tagliere all'Osteria Italia (scelta dal Rava con patriotico e finissimo istinto gastronomico!).

lunedì 11 gennaio 2010

Ricomincio dal dry



Un weekend di tanti chilometri e pochi tiri, ma di qualità!

Partenza sabato mattina alle 4.30 da GE, direzione Ceresole. Solita punta al Casello di Ivrea per recuperare Pier, poi si riparte per la falesia.

Il solito istinto strategico ci fa portare solo una corda da 55 metri... dunque arrivati a destinazione ci accorgiamo che i tiri di ghiacico più impegnativi e belli sono fuori portata (a meno di non improvvisare una calata a metà colonna...).

Poco male: l'occasione e propizia per consumare un po di acciaio sul granito della valle dell'Orco e rispolverare la gestualità della scalata su misto.

L'esperimento funziona bene e, nonostante una ghisona fotonica, riusciamo a chiudere al primo giro un paio di tiri di grado M... boh??????

Troppo gonfi per continuare l'ingaggio rientriamo alla maison giusto in tempo per il cenone con amici e parenti a base di pizzoccheri ed altre specialità importate per l'occasione direttamente da Burmi.

Mattina di domenica, ore 5.30 con Rava, Beppe e Mauro si parte (sempre con grande intuito strategico) per la Valsesia. Attraversiamo la pianura a fuoco sul ravafurgone, giusto per arrivare ad Alagna in tempo per la colazione... poi dietro front e altri 160 km verso Gressoney... tanto a noi la benzina la danno a gratis...

La giornata sembra spacciata, ma la la destinazione di riserva si rivela azzeccata: la falesia della Balma merita davvero ben più di una visita e ognuno di noi trova di che ghisarsi: Rava guida Beppe e Mauro su un paio di bei flussi ghiacciati... io (sempre con grande intuizione) mi lancio su un tiro di misto di riscaldo, che diventa anche l'obiettino (non raggiunto per un soffio) della giornata. Anche qui il grado è M boh (anche M boh + !!!).

Comuuque grande divertimento!